Diritto alla salute e controversie legali

Il tribunale del lavoro di Milano accoglie il ricorso di un’operatrice sanitaria: prima di sospenderla bisognava provare a ricollocarla. E le va ridata la paga

TOMMASO MONTESANO
■ Proprio in coincidenza con il varo del decreto legge  che estende l’obbligo della certificazione verde a tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati con sospensione dall’attività e mancata retribuzione senza l’esibizione del “green pass” – una sentenza emessa dalla “sezione lavoro” del tribunale di Milano per la prima volta scalfisce il muro normativo eretto da Palazzo Chigi.

Lo scorso 16 settembre, infatti, con atto numero 2135, i giudici hanno riconosciuto l’illegittimità della sospensione non retribuita di un’operatrice sanitaria, dipendente di una Cooperativa privata, motivata dal rifiuto di sottoporsi al vaccino. Premessa: il contenzioso si riferisce al personale sanitario, come è noto obbligato a sottoporsi all’inoculazione per poter continuare ad esercitare la professione.

Ma il decreto in oggetto, emanato il 1°aprile 2021, era successivo alla sospensione non retribuita della lavoratrice, già avvenuta il 9 febbraio
2021. E già questo, a prima vista, rendeva traballante il provvedimento.

IL PUNTO AGGREDITO
L’avvocato Mauro Sandri, difensore della lavoratrice, invita però a non minimizzare: «Prima e dopo l’entrata in vigore del decreto legge numero 44 sull’obbligo vaccinale, centinaia di sospensioni, come questa, sono avvenute in base all’applicazione dell’articolo 2087 del codice civile sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, come chiesto dal giuslavorista Pietro Ichino. Il peso di questa sentenza è enorme
perché per la prima volta ribalta questo indirizzo».

I difensori – oltre a Sandri c’è Olav Taraldsen – hanno fatto perno anche su altre argomentazioni.

Prima tra tutte quella che al datore di lavoro spettava comunque il compito «di provare l’impossibilità di adibire la dipendente a mansioni ulteriori che non implicassero un contatto con i pazienti». E il tribunale di Milano ha accolto l’eccezione.

Pur non disponendo il reintegro dell’operatrice sanitaria – in quanto sprovvista della vaccinazione il giudice ha accertato «l’illegittimità originaria del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita ». Intimando al datore di lavoro di corrispondere la retribuzione a partire «dalla data di sospensione».

LE RICADUTE
Ma l’aspetto più significativo della pronuncia, che potrebbe interessare dal 15 ottobre anche le altre categorie di lavoratori – peraltro obbligate a esibire la “certificazione verde”, non l’attestato di avvenuta vaccinazione – è un altro. Ovvero il passaggio nel quale il tribunale censura la mancata ottemperanza all’obbligo di ricollocamento. La sospensione del lavoratore senza retribuzione – ancorché non vaccinato – rappresenta infatti «l’extrema ratio», essendo in capo al datore di lavoro l’onere di «verificare l’esistenza in azienda di posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva, da un lato, e compatibili, dall’altro, con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio». Onere non assolto dalla Cooperativa.

È questo il «segmento» della sentenza, per Sandri, che sarà rilevante per le eventuali sospensioni che arriveranno dal 15 ottobre in poi causa assenza di green pass. La sospensione, in pratica, secondo il legale potrà esserci solo se il datore di lavoro «fornisce la prova che il lavoratore non è ricollocabile in altro ruolo o mansione». Ricollocamento «già previsto dalla legge di conversione del decreto sull’obbligo vaccinale. Il tribunale di Milano ha ripristinato la gerarchia delle fonti».